“Adesso una polizia europea di frontiera. L’Italia nella Ue? Non vince con gli slogan”

“Adesso una polizia europea di frontiera. L’Italia nella Ue? Non vince con gli slogan”

 Intervista di Alessandro Trocino ad Enrico Letta per il Corriere della Sera del 7 gennaio 2016
«Serve una polizia europea di frontiera. E un’Europa a due cerchi. Ma soprattutto serve che l’Italia difenda Schengen, non che la distrugga: altrimenti rinascerà una nuova mini Schengen e saremo messi ai margini da Francia e Germania». Enrico Letta è a Parigi, dove, dopo le dimissioni da parlamentare, dirige la Scuola di Affari internazionali dell’Università Sciences Po. È in partenza per Seattle, dove ci sarà un confronto tra 60 scuole di Affari internazionali.

La Svezia ha reintrodotto i controlli alla frontiera con la Danimarca, che a sua volta lo ha fatto con la Germania: la libera circolazione delle persone introdotta dalla convenzione di Schengen è ancora un valore da difendere? «L’Europa è scossa da un terremoto che ne mette in discussione i valori basilari. In un tripudio di sondaggi, si alzano muri, si abbattono ponti e si chiudono frontiere. Un impazzimento collettivo, che non tiene conto delle possibili conseguenze».

Che conseguenze rischia di avere? «Rialzare le frontiere e chiudersi dentro logiche nazionalistiche sarà alla fine inefficace per tutti. Ma in particolare avrà un effetto negativo per l’Italia, che è il Paese che ha più da perdere da questa escalation».

Perché? «Spesso dimentichiamo che in Schengen siamo entrati molto dopo e con grande fatica. L’accordo è stato una creazione franco-tedesca, due Paesi che non hanno frontiere fisiche e non sono divise da mari o da montagne. Se oggi fallisce, rinascerà una mini-Schengen tra Francia, Germania e Benelux. Italia, Grecia e Spagna rischiano di essere escluse: sarebbe un segnale terribile».

Alcuni pensano che l’Italia possa chiudere temporaneamente le frontiere con la Slovenia, anche se il ministro Alfano ha smentito questa ipotesi. «Non conosco i particolari, ma in generale sarebbe un atto di masochismo da parte dell’Italia soffiare sul fuoco o gioire perché finisce Schengen. Non si sega l’albero sul quale siamo seduti. L’Italia dovrebbe difendere e riformare l’accordo, non distruggerlo. Buttare benzina sul fuoco sarebbe contro i nostri interessi».

Come si riforma Schengen? «Bisogna rafforzare i controlli alle frontiere esterne dell’Europa. Questo significa raddoppiare il controllo con un servizio misto, non lasciato in mano solo alle forze di polizia nazionali. Non servono cento persone, ma decine di migliaia di poliziotti europei. Questo è essenziale soprattutto per le questioni di sicurezza: i terroristi del 13 novembre hanno passato le frontiere europee varie volte».

Poliziotti non italiani in Italia e viceversa: una rivoluzione. «Non sarebbero poliziotti nazionali, ma europei. Esattamente come esiste un ambasciatore dell’Unione europea in Brasile o in Cina».

Le molestie di centinaia di immigrati a Colonia hanno scosso la Germania. È un segnale preoccupante? La Germania è stata tra i Paesi più accoglienti. «La Merkel ha una grande capacità di leadership e tra vent’anni i tedeschi la ringrazieranno, come oggi ringraziano Schröder e Kohl. Del resto, la Germania ha una demografia disastrosa, la peggiore d’Europa: se non avesse fatto questo gesto di accoglienza tra io anni avrebbe avuto un terzo della popolazione pensionata».

Ma i fatti di Colonia non rischiano di vanificare lo sforzo? «Il tema dell’immigrazione non può essere gestito solo dal ministero dell’Interno, come sicurezza. Il messaggio di fine anno del Presidente Mattarella è stato molto forte ed efficace su questo punto. Dev’essere chiaro che l’immigrato deve rispettare le nostre regole. E soprattutto sul rispetto della donna, ovviamente, non si può transigere in alcun modo».

Renzi, parlando della Germania, ha detto basta alla «subalternità psicologica» e ha spiegato che «bisogna smettere di pensare a un’Italia sempre con il cappello in mano». Il presidente emerito Giorgio Napolitano, nell’intervista al Corriere della Sera, ha rivendicato un passato di «autorevolezza e dignità». «Ha ragione il presidente Napolitano. I successi dell’Italia sono sempre stati successi di leadership. Non si vince agitando slogan come “battere i pugni sul tavolo” o “non avere il cappello in mano”. Il problema è la credibilità, cioè la coerenza tra parole e fatti. Se si usa troppo spesso l’Europa come scaricabarile o come capro espiatorio, poi se ne subiscono le conseguenze. Stiamo attenti: chi semina vento, raccoglie tempesta. Ho paura che alcuni atteggiamenti di Renzi sull’Europa siano dovuti ai sondaggi e alla voglia di avere voti. Del resto il fatto di avere o non avere il cappello in mano dipende dai fatti non dalle parole. Non basta autodefinirsi credibili. E una politica europea credibile deve basarsi su alleanze efficaci: la nostra alleanza naturale è con Francia e Germania. Serve una nuova iniziativa europea, a due cerchi.

A due velocità? «No, a due cerchi, perché non tutti i Paesi vanno nella stessa direzione. Un cerchio stretto di Italia, Francia, Germania e Spagna che accanto alla politica monetaria mettano politica economica e sociale. E un secondo cerchio più largo, in cui si condividono solo alcune politiche, ma non si va verso l’integrazione. Bisogna rompere il velo dell’ipocrisia. Anche perché temo che l’effetto, collaterale del blocco delle frontiere sia un grande spot a favore del Brexit, ovvero dell’uscita dall’Europa della Gran Bretagna. Mi auguro che il governo di Renzi colga la necessità di mettersi al centro di un progetto di riforma dell’Europa, senza distruggere Schengen. Non servono messaggi continuisti polverosi o litanie europeiste. Bisogna spiegare i vantaggi che si hanno nell’avere un’Europa forte. L’Europa va cambiata, non distrutta in nome dei voti facili. Altrimenti si mette in moto un processo controproducente e distruttivo. L’Europa non può essere solo banche e burocrazia. Serve un nuovo inizio e una nuova Europa, calda e protettiva».