Basta conservazione e i tic ideologici: la ricostruzione nazionale e la lettera della BCE

Basta conservazione e i tic ideologici: la ricostruzione nazionale e la lettera della BCE

Articolo di Enrico, pubblicato sull’Unità sabato 1 ottobre 2011.

Gli ultimi 90 giorni hanno cambiato la storia di questo Paese. Prima ce ne rendiamo conto, prima potremo iniziare il faticosissimo e obbligato lavoro di ricostruzione dell’Italia.  Dinanzi a noi ci sono tre montagne da scalare: il pareggio di bilancio, la riduzione del debito pubblico, la crescita. Il governo in questi anni ha provato ad arrampicarsi, male e con ritardo, solo sulla prima, quella del rapporto deficit-PIL. Nulla è stato fatto, invece, per le altre due, che sono le più alte e le più ostiche.

Scalarle è un impegno che rientra nella “dimensione dei doveri” richiamata da Romano Prodi e che obbliga una classe dirigente degna di definirsi tale, dentro e fuori il PD, a un esercizio, anch’esso scomodo ma indispensabile, di maturità, responsabilità e coraggio. La maturità di chi smette di tenere la testa sotto la sabbia e ammette lo stato di assoluta emergenza in cui versa l’economia nazionale dopo lo spread con i Bund alle stelle, il declassamento, il rischio recessione. La responsabilità di chi intende assumersi fino in fondo l’onere di restituire al Paese una sovranità economica compromessa dalla zavorra del debito. Il coraggio di lasciarsi alle spalle i tic ideologici del passato che troppo spesso condizionano, in buona o in cattiva fede, la lettura della situazione attuale.

La lettera della BCE pubblicata giovedì dal Corriere della Sera ha, pur nella sua brutalità, il vantaggio di porre il PD dinanzi a una svolta: crescere e farsi definitivamente una forza riformatrice di governo, animata dalla promozione dell’interesse nazionale del Paese tutto intero, oppure accontentarsi di essere quello che già è, rifugiandosi poi nella conservazione e nello sterile presidio di uno spazio politico e di un non meglio precisato elettorato di riferimento. È una scelta drammatica – beninteso – cui siamo arrivati in primo luogo per l’incapacità di governo, la sottovalutazione della crisi e la sistematica ricerca di alibi della coppia-scoppiata Berlusconi-Tremonti. Ma è una scelta che non possiamo più permetterci il lusso di procrastinare o di edulcorare a colpi di distinguo dialettici che troppo spesso hanno il sapore di atteggiamenti difensivi e conservatori. A pagare i 100 miliardi di euro che in media, annualmente, siamo costretti a sborsare solo per sostenere gli interessi passivi sul debito ci sono, infatti, 60 milioni di donne e uomini che ogni giorno lavorano, sudano e faticano: di tutte le generazioni, i livelli sociali e le professioni. Ci sono i nostri figli e i nostri nipoti, cui abbiamo l’obbligo di consegnare una speranza e un futuro. C’è l’essenza stessa di un progetto politico che nella tutela rigorosa e appassionata del bene comune trova la sua prima ragione fondativa.

La lettera della BCE indica gli obiettivi ineludibili di un programma di politica economica. Confrontiamoci su quali siano gli strumenti migliori per tradurli in concreto. Discutiamo delle modalità attraverso le quali conciliare equità e crescita, solidarietà e concorrenza, sacrifici e giustizia sociale.  Riflettiamo su come abbattere il debito attraverso la valorizzazione dei patrimoni pubblici e privati di cui è ricco il Paese e su come impiegare i 20-30 miliardi di euro annui di interessi passivi sul debito stesso, che in tal modo verrebbero liberati, per far ripartire la crescita e per rilanciare anzitutto l’occupazione giovanile, l’istruzione e un nuovo welfare fondato sull’equità generazionale e di genere.

Facciamo tutte queste cose – nell’ambito della Convenzione per la Ricostruzione nazionale che parte ora e che impegnerà il PD fino a dicembre – ma non abdichiamo al dovere di essere, oggi più che mai, una forza non immatura, ma responsabile, coraggiosa e lungimirante. Ne va della sopravvivenza del Partito Democratico così come concepito nella sua intuizione originaria e soprattutto delle prospettive di rinascita di un Paese umiliato e messo in ginocchio dalle infinite degenerazioni del ventennio berlusconiano.