Così difendono gli indifendibili

Così difendono gli indifendibili

Intervista rilasciata da Enrico Letta a Carlo Fusi, pubblicata su Il Messaggero di giovedì 7 giugno 2012

Il Senato dice no agli arresti domiciliari per Sergio De Gregorio. «Trovo particolarmente grave – dice Enrico Letta, vicesegretario Pd – quel che è accaduto a palazzo Madama. L’arroccamento di Pdl e Lega a difesa sempre e comunque degli indifendibili lascia esterrefatti. Questo è uno dei punti che rende più difficile quel dialogo senza il quale, essendo noi del Pd in minoranza in queste Camere, il Porcellum non può essere abolito». Il riferimento al Porcellum è tutt’altro che casuale. Perché porta a parlare della madre di tutte le questioni: le riforme. Niente semipresidenzialismo perché non ci sono i tempi. Ma non è una chiusura. Al contrario, Letta rilancia proponendo al Pdl un patto costituente che metta al centro deal prossima legislatura anche quel tema, «per la prima volta senza tabù da parte nostra».

Un rilancio, onorevole? O solo un modo per buttare la palla in corner?

«Niente affatto. Dovremmo stipulare un patto costituente che ci lega e impegna per la prossima legislatura sapendo che nell’attuale fase crepuscolare della seconda repubblica, la priorità è un cambio immediato della legge elettorale assieme, appunto, alla definizione di un patto costituente da applicare concretamente nella prossima legislatura».

Però resta una dichiarazione di intenti. Sicuro che agli italiani possa bastare?

«Il tema di fondo è che la proposta di Berlusconi e Alfano di cambiare di qui ad ottobre 15 articoli della Costituzione e poi votare la riforma elettorale a novembre-dicembre per poi sciogliere le Camere a gennaio rappresenta un percorso non credibile. Perché non si tratta di cambiare un solo articolo della Carta, magari quello che riguarda la diminuzione dei parlamentari sul quale noi siamo ultra d’accordo e si può fare in mezz’ora. Qui stiamo parlando dei poteri del Capo dello Stato, cioè dell’organo forse più peculiare del nostro ordinamento. Senza dimenticare che il presidenzialismo si porta appresso questioni di enorme rilievo: penso alla presidenza del Csm; alla nomina dei giudici costituzionali; al potere di scioglimento o di affidare l’incarico del governo. Si può fare tutto questo in una manciata di settimane? Non è credibile».

Insomma no. Punto

«Attenzione però: la mia è una risposta di apertura. Alla bandiera politica che agita il Pdl non rispondiamo con una chiusura di merito come nel passato, bensì con un rilancio. Appunto un patto costituente per la prossima legislatura che abbia oggi come punto di partenza la riforma elettorale. Sarebbe la prima volta che si fa una legge elettorale condivisa, un fatto di rilevanza e significato enorme. Posso anticipare che nella Direzione di domani il piatto forte sarà proprio questo: l’offerta al Pdl di non trincerarsi dietro la bandiera del semipresidenzialismo e in cambio noi non ci trincereremo dietro il doppio turno. Su queste basi pensiamo si possa arrivare ad una intesa sulla riforma elettorale incardinata su quattro priorità: rapporto tra eletto ed elettore; governabilità con soglie che incentivino ad aggregazioni ed evitino i ricatti delle forze minori; riconoscimento del ruolo dei territori; niente nome del candidato premier sulla scheda».

Dica la verità: il no è perché non volete assegnare a Berlusconi lo scettro di statista e padre della Terza Repubblica?

«Voglio rimanere costruttivo. Se c’è una volontà costituente da parte del Pdl, ci sono tutte le condizioni perché nella prossima legislatura questa volontà trovi le dovute occasioni e i tempi giusti per essere applicata. Se questa volontà c’è ad essa noi rispondiamo positivamente. Il senso che patto costituente che propongo è questo».

O magari dite no per non dispiacere Napolitano che sul semipresidenzialismo ha lasciato filtrare nutrite perplessità.

«Con Napolitano abbiamo un rapporto di sostegno e sintonia totale. E quindi siamo sensibili ai suoi richiami. Il Capo dello Stato non è entrato nel merito: a mio parere ha sollevato interrogativi corretti, avvisando che su una questione così nevralgica non si può pasticciare».

Resta che condizione essenziale per fare le riforme è scongiurare le elezioni anticipate. Smentita obbligata di Bersani a parte, come la mettiamo con Fassina che chiede il voto ad ottobre?

«Io dico questo: siamo alla vigilia di venti giorni che cambieranno in un senso o nell’altro la storia dell’Europa. E anche la nostra. Da ieri è ufficiale l’entrata in crisi della Spagna, con annesso rischio default. Dopo ci siamo noi. La miopia tedesca ha fatto buttare nel cestino i sette mesi che i due Mario italiani, Draghi e Monti, hanno concesso alla Ue per trovare soluzioni. Ora ci ritroviamo come a novembre con l’unica differenza – peraltro non proprio da poco – che sull’orlo del burrone c’è prima Madrid e poi l’Italia. Da qui a fine mese si terranno il vertice del G20; il quadrilaterale a Roma con Francia, Germania e Spagna e infine il vertice europeo. Bene, l’idea che con il tornado che si sta avvicinando il nostro Paese sfiduci Monti azzerando il patrimonio di credibilità che grazie a lui ci siamo conquistati e si infili dentro una campagna elettorale con il Porcellum, senza un governo e con elezioni il cui esito sarebbe particolarmente incerto, la trovo semplicemente una follia. La pagheremmo cara come Italia e la pagherebbe cara il partito che provocasse il voto anticipato. Mai il Pd, che oggi più che mai è il partito della responsabilità, potrebbe permettersi di scambiare interessi di bottega con lo sfascio dell’Italia. Sarebbe un boomerang devastante, da apprendisti stregoni».

È vero che in Direzione lei chiederà l’azzeramento della segretaria Bersani?

«Non posso smentire una cosa che non esiste. La Direzione deve riconfermare la linea Bersani con l’appoggio a Monti fino al 2013. Chi è contrario, deve trarne le conseguenze. Sarebbe paradossale un partito nel quale i collaboratori del segretario si pronunciano contro la sua linea».