I caduti di Marcinelle e quelli di oggi

I caduti di Marcinelle e quelli di oggi

8 agosto 2022 – Intervento pubblicato sul Corriere della Sera del 7 agosto 2022.

“Ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione”.

Non sembri fuori luogo questa riflessione di Cesare Pavese sulla guerra di Resistenza nel giorno in cui ricordiamo la tragedia della miniera di Marcinelle, in Belgio, l’8 agosto di 66 anni fa. All’indomani, del resto, proprio su queste pagine, Orio Vergani descrisse le 262 vittime, per oltre la metà italiane, come “soldati di uno dei tanti piccoli imperi non segnati sulle carte geografiche della politica: il tetro impero del carbone”.

Soldati arruolatisi per sopravvivere, quando a emigrare per sopravvivere eravamo noi. Italiani di cui andare orgogliosi, ed è per questo che giustamente il nostro Paese ha istituito per l’8 agosto la “Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo”. Un sacrificio – a distanza di tanti anni possiamo dirlo – che non è stato vano, ma che deve continuare a stimolare le coscienze e l’azione politica.

Le catastrofi sono processi di accelerazione della storia che ci lasciano intravedere percorsi già in atto, che facciamo fatica a comprendere nell’immediato, ma sui quali siamo chiamati a spingerci. Su più fronti: economici, sociali, culturali, politici.

Marcinelle e il carbone all’epoca rappresentavano la questione energetica per far ripartire l’Europa, e la tragedia, nella mancanza delle misure anche minime di sicurezza, avvenne proprio nel momento in cui le fonti energetiche si diversificavano e il carbone veniva progressivamente sostituito dal petrolio e dall’energia nucleare. Dopo Marcinelle, il racconto della catastrofe è stato in grado di aprire un varco nella sensibilità delle persone. Italiani e belgi erano morti gli uni a fianco agli altri, senza alcuna distinzione: una fine inaccettabile capace però di indicare anche un nuovo inizio, un destino comune, quello fissato nei Trattati di Roma che l’anno successivo segnarono l’atto di nascita del processo di integrazione europea.

Integrazione resa viva dal contribuito delle italiane e degli italiani che, dal 1946 alla fine degli anni Settanta, in 14 milioni si sono trasferiti per periodi medio-lunghi nei vari paesi europei. Spostamenti ripresi senza sosta dalla fine degli anni Novanta, con oltre centomila partenze l’anno. Emigrazione ieri, mobilità oggi: la comunità degli italiani globali, un patrimonio immateriale che rappresenta l’indispensabile capitale umano per il rilancio di un Paese che, proprio per onorare davvero di chi fu costretto a partire, deve saper fornire anche buoni motivi per attrarre e per convincere i suoi giovani a rimanere o tornare.

Credo che di questo, dalle viscere di Marcinelle, ci “chiedano ragione” i “caduti” di 66 anni fa. Per tutte queste ragioni sarò personalmente lì, nelle celebrazioni dell’anniversario del disastro. Per onorare quelle 262 vittime e anche, simbolicamente, tutti gli altri altri caduti, in altre viscere, a partire da quelle del Mediterraneo. Soldati, come loro, di una guerra per la sopravvivenza di fronte alla quale l’Europa e l’Italia non possono voltarsi dall’altra parte, se vogliamo che le nostre radici, che affondano anche nella terra di Marcinelle, non inaridiscano.