“Italia e Spagna pagheranno il conto dell’instabilità”

“Italia e Spagna pagheranno il conto dell’instabilità”

Enrico Letta in Conferenza a DublinoEx premier italiano, oggi direttore di Sciences Po a Parigi dove tiene lezioni in inglese a ragazzi da tutto il mondo, Enrico Letta è un concentrato di europeismo.

Per Juncker non è l’inizio della fine della Ue. E’ d’accordo? Lei nei giorni scorsi ha ammonito che senza Regno Unito la Ue non sopravviverà... «Se l’obiettivo dell’Europa sarà solo sopravvivere, si decomporrà pezzo a pezzo. La strada presa negli ultimi dieci anni ci sta portando verso un burrone: l’unica possibilità è un rilancio che rimetta al centro i cittadini anziché le banche e le istituzioni».
Come si fa? «Bisogna partire da progetti concreti su tre grandi problemi di oggi. La disoccupazione giovanile, coinvolgendo un milione di giovani europei in un Erasmus pro, un anno di apprendistato finanziato dall’Europa. La questione migratoria, con una polizia di frontiera comune. E la sicurezza, con una Fbi europea».
Se cose così non vengono fatte si va verso la fine dell’Europa? «Sicuramente verso un ulteriore indebolimento. Bisogna agire subito: non possiamo aspettare le elezioni francesi e fra sedici mesi quelle tedesche, altrimenti non ritroviamo più nulla, bisogna agire subito dimostrando di aver capito la lezione».
Per cambiare l’Europa serve cambiare i trattati? «No, gli strumenti ci sono tutti, serve la volontà dei Paesi membri di usarli non solo quando la casa è già bruciata, ma quando c’è il primo segnale di fumo. Per salvare la Grecia sono stati spesi 283 miliardi di euro, una cifra enorme: ma i greci l’hanno percepita come insufficiente, perché sono stati dati quando la casa era già bruciata, invece di intervenire quando si poteva ancora salvare la situazione».
C’è un problema di leadership europea? «Ci deve essere una leadership collettiva coesa, che parli con una voce sola».
Come si gestisce il divorzio? «Sarà un’operazione difficile, ma un’uscita ordinata è bene che avvenga il prima possibile. I due anni di cui parla l’articolo 50 del Trattato di Lisbona sono eccessivi: bisogna che in sei mesi tutti i dossier siano chiusi».
Altrimenti? «Il rischio è una sequela di contenziosi giuridici che frenerà gli investimenti in Gran Bretagna e in Europa».
L’Italia corre pericoli economici? «Sì. In caso di instabilità, i due Paesi nel mirino sono la Spagna, che da sei mesi non ha un governo, e l’Italia, perché ha un debito pubblico enorme».
Renzi però rassicura che l’Italia ha ritrovato stabilità. Possiamo stare tranquilli? «Il problema principale è evitare di essere messi sotto esame. E l’unico modo per farlo è partecipare a un’iniziativa europea di rilancio della zona euro».
E’ l’unica cosa che il governo può fare per mettere al riparo il Paese? «Bisogna soprattutto non perdere tempo. Vedo che sono già in programma alcuni vertici europei, mi sembrano buone iniziative».
C’è il rischio che altri Paesi lascino la Ue? «Fino a un certo punto. Potrebbero farsi tentare la Danimarca o la Svezia, ma penso che il caos di queste ore spaventerà molti».
Cambierà qualcosa nella nostra vita quotidiana? «Non domani mattina, ma nell’arco di due o tre anni sì. Chiunque abbia a che fare col Regno Unito si accorgerà quanto sia diverso fare parte di un mercato unico o essere trattati come Paese terzo: i miei studenti inglesi, per esempio, smetteranno di avere agevolazioni in base al reddito come hanno tutti gli europei».
Cosa cambierà per gli inglesi? «Ci sarà una forte spinta centrifuga su Scozia e Irlanda del Nord. E Londra smetterà di essere la porta del mercato unico più ricco al mondo. L’Autorità bancaria europea lascerà Londra: sarebbe il caso che Milano si candidasse a sostituirla».
Cosa c’è alla radice di questa scelta inglese? «Parole d’ordine come “torniamo grandi”, “riprendiamo il controllo” rappresentano idee nazionaliste che, anche se hanno vinto, vanno combattute. Sono la medicina pietosa per malattie vere come le disuguaglianze. Dinamiche che si possono modificare solo coi fatti, e stando attenti a un uso accorto delle parole: troppi annunci rischiano di avere un effetto boomerang».

Intervista di Francesca Schianchi per La Stampa del 25 giugno 2016