Kohl era un riferimento di noi giovani europeisti

Kohl era un riferimento di noi giovani europeisti

kohl«Un politico del dialogo e dell’unione», un «grandissimo amico dell’Italia», ma anche «l’uomo che ha vissuto con grande amarezza gli ultimi anni della sua carriera, quando venne marginalizzato dopo lo scandalo sui finanziamenti alla politica e poi fu rottamato dalla Merkel, la donna che era stata la sua delfina. Lui ne soffrì tantissimo. Ora la storia gli darà il tributo che la politica non gli ha dato». Tra Enrico Letta ed Helmut Kohl corre una generazione abbondante di differenza, ma l’ ex presidente del Consiglio italiano ha molti ricordi diretti del cancelliere tedesco, oltre alla comune appartenenza alla storia dei popolari europei.  «Sì, sono stato presidente dei giovani democristiani europei tra il 1990 e il 1995 racconta l’ex premier – quando Kohl era all’apogeo del suo percorso politico. In quegli armi ho avuto l’occasione di incontrarlo diverse volte e ne conservo ricordi molto intensi».

Ci racconti…

Il più forte fu a Pisa quando tenemmo il congresso dei giovani dc europei. Era il febbraio 1990, e lo ricordo a discutere con noi giovani delle conseguenze della caduta del muro di Berlino. Ma li ci fu anche un passaggio storico perché contestualmente al congresso si tenne un incontro tra i 5 primi ministri democristiani europei dell’epoca: oltre a lui c’erano l’olandese Lubbers, il belga Martens , il lussemburghese Santer e il presidente del Consiglio Andreotti. Lui volle incontrarli tre mesi dopo il crollo del muro e lì chiese ai suoi 4 amici la solidarietà sulla scelta della riunificazione, che sarebbe stata formalizzata nel Consiglio europeo nelle settimane successive. Lui che ha sempre spinto sull’idea delle radici cristiane dell’Europa, volle chiedere prima ai quattro amici democristiani di appoggiarlo eAndreotti, che fino ad allora era sempre stato scettico, cambiò posizione e gli dette il via libera. Quello che si oppose di più fu l’olandese, che poi alla fine cedette. Fu un passaggio decisivo per ottenere l’ok alla riunificazione immediata, che non era scontata. La Germania dell’Est era un altro Paese e fu trattata in modo straordinariamente eccezionale rispetto a tutti gli altri entrati poi nella Ue.

Chi è che più temeva la Germania unita?

Andreotti, come dicevo, cambiò idea. Ma il percorso andò a buon fine attraverso lo scambio tra l’euro e la riunificazione e che fu il grande successo di Mitterand e di Delors, i quali diedero l’ok all’unificazione in cambio della messa in comune della moneta. Kohl si impegnò a convincere i tedeschi ad abbandonare il marco. Fu un’impresa titanica.

Come definirebbe Kohl?

È stato l’uomo dell’unione, ha unito la Germania, ha unito l’Europa e ha unito sull’euro, forse è il personaggio più importante della storia europea del dopoguerra. Oggi che vanno tanto di moda i muri e le divisioni, lui è stato l’opposto, uomo di integrazione, dialogo e di scelte coraggiose. Quelli non erano passaggi scontati. Lui li ha saputi gestire con la sua leadership e un esempio è proprio la generosità con cui rimise insieme l’Est e l’Ovest tedeschi. È la famosa storia del cambio tra il marco dell’est e quello dell’ovest, lui volle fare un cambio alla pari, che era una cosa economicamente assurda e tutti lo sconsigliarono. Lui rovesciò la cosa politicamente battendosi in nome dell’identità e dell’orgoglio, per dare il segno ai tedeschi dell’est che erano uguali, non dei poveracci da annettere. E lo stesso ragionamento in fondo lo fece anni dopo con l’Europa del Sud, Spagna e Italia fu generoso nell’aprire l’euro. Molti nel suo partito frenavano, come già allora Schaeuble, e lui spinse avanti.

Che atteggiamento aveva verso il nostro Paese?

E’ una cosa che mi ha sempre colpito perché raramente ho visto un leader così proitaliano come Kohl. Lui è sempre stato uno straordinario amico dell’Italia, ha sempre sostenuto con forza che senza di noi non c’è Europa e ha sempre avuto rapporti molto intensi con i leader italiani. In particolare era molto legato a Prodi e Andreatta, i due personaggi che considerava più vicini al suo modo di ragionare nel mondo democristiano, i due più “tedeschi”. Ma anche ad Amato, Martinazzoli, Buttiglione.  Aveva anche un legale personale con l’Italia, da giovane aveva studiato a Roma. Ricordo una volta che stava ripartendo dall’Italia dopo una visita, io ero presente come assistente del ministro Andreatta, e durante il tragitto verso l’aeroporto, sulla via Appia, riconobbe un ristorante che aveva frequentato da studente e bloccò il corteo di macchine per fermarsi a mangiare una amatriciana.

E l’uscita di scena?

C’è stata una grandissima amarezza degli ultimi anni della sua vita, quando ebbe una serie di rovesci politici e fu trattato molto male e nel suo Paese ci furono polemiche e scandali sul finanziamento al suo partito che lo coinvolsero, cose per le quali fu marginalizzato e trattato politicamente molto male. Lui ne soffrì tantissimo. Oggi la storia gli darà il tributo che la politica non gli ha dato.

C’è qualche speranza tradita nel bilancio della sua attività politica?

Lui voleva sicuramente una maggiore unione dell’Europa sulla politica estera, cosa che non è avvenuta e su cui si fatica ad avanzare. Come tedesco sapeva benissimo che i demoni del nazionalismo passato possono tornare e su questo fu sempre molto vigile. Tanto che sostenne con grande forza l’attività del primo ministro degli esteri della Ue, lo spagnolo Solana.

 Il tributo reso da molti oggi a Kohl è anche nostalgia di un’Europa più unita? Sì, ed anche nostalgia per un tipo di statisti seri, rigorosi e austeri.