Letta costruisce la sua classe dirigente

Letta costruisce la sua classe dirigente

Stefano Feltri per Il Fatto Quotidiano del 10 ottobre 2015copertina FB - SDP - v1

Inutile cercare di vedere nella Scuola di Politiche di Enrico Letta l’embrione di una corrente. Non è neppure un punto di intersezione tra politica e mondi del business, come era la convention estiva di VeDrò prima del passaggio a Palazzo Chigi. Anzi il principio fondativo è questo: “Essere in grado di fare politica essendo liberi, cioè avendo un vostro mestiere, una battaglia politica può finire male, dovete essere in grado di poter fare un passo di lato se la vostra coerenza ve lo impone”

Si possono cercare chiavi psicoanalitiche, più che di potere: Enrico Letta ora un mestiere ce l’ha, dirige la scuola di Affari internazionali della prestigiosa università francese di Sciences Po. Più che alla politica, ora, dice di interessarsi alle politiche, secondo la distinzione che faceva il suo maestro Nino Andreatta (politics contro policy).

Ma ai cento ragazzi che ieri si sono riuniti a Roma per l’inaugurazione della Scuola di Politiche questo importa poco. “È una grande opportunità, non ci speravo”, dice Andrea Schoen. “Ancora mi stupisco che mi abbiano selezionato, eravamo 672 candidati per 100 posti”, spiega Chiara Bitetti. Entrambi sono ai primi anni di Scienze Politiche, uno a Perugia l’altra a Pavia. Hanno mandato un video di un minuto e brevissimi saggi di poche righe sulle loro idee per il futuro dell’Italia e dell’Europa. Sono tra i prescelti che arrivano da tutta Italia, alcuni sono già fuggiti all’estero. Ogni venerdì, una delle tre classi da 33 presone si riunirà all’Arel, il think tank di Andreatta e Letta, per una giornata di lezioni. Chi si assenta senza certificato medico è fuori. Il ciclo di lezioni si chiude a giugno, a Bruxelles.

Molti docenti sono i membri del governo Letta che hanno resistito alla convenienza di convertirsi al renzismo: ci sono gli ex ministri Enrico Giovannini, Maria Chiara Carrozza, l’ex sottosegretario Filippo Patroni Griffi, il deputato Marco Meloni. “Qui ci diamo tutti del tu, chi osa darmi del lei viene espulso”, intima Letta, dopo un discorso di oltre un’ora (ha ancora i tempi del politico) su Europa, Erasmus per i lavoratori, demografia e ascesa dell’Africa.

Letta è l’erede di una tradizione politica – Dc prima, Margherita poi – che ha sempre cercato di costruire una classe dirigente, più di dieci anni fa a Milano ci provarono Francesco Rutelli e Massimo Cacciari con il Centro di formazione politica. Anche VeDrò era nata con quell’approccio un po’ americano che cerca di sviluppare network trasparenti invece che rapporti costruiti in stanze chiuse e consorterie.

Qualcuno potrebbe insinuare che coltivare i ventenni è l’unico modo per costruire un’alternativa ai quasi-quarantenni renziani oggi al potere. Certo Letta non si nega qualche allusione, come la sua citazione preferita di Franz Kafka: “A causa dell’impazienza l’uomo è stato cacciato dal paradiso terrestre e per via dell’impazienza non vi è stato riammesso”. Lui di pazienza ne ha parecchia ma, come spiega ai suoi ragazzi, “questo è il tempo dell’impazienza e della superficialità”. Non è detto però che duri in eterno.