L’ottantasette, un incubo da scacciare

L’ottantasette, un incubo da scacciare

Intervista rilasciata da Enrico a Lina Palmerini, pubblicata su «Il Sole 24 Ore» di martedì 19 gennaio.

«Un’opposizione di governo come la nostra deve partecipare a una discussione sulle due riforme-chiave del 2010 di cui ha parlato Giorgio Napolitano: welfare e fisco». Enrico Letta risponde all’intervista di Giulio Tremonti condividendo la logica di una riforma fiscale che sposti il carico dalla produzione verso rendite e consumi ma giudica «deludente» lo slittamento al 2013 e teme che tutto finisca «come è finito il taglio dell’Irap dello scorso anno». Ma c’è un «limite» più grande nell’intervista: «Il ministro dell’Economia sembra rallegrarsi più dell’aver evitato all’Italia di fare la fine della Grecia, mentre il problema è assumere la Francia di Sarkozy come termine di paragone».

Cominciamo da Robin hood, le banche e Obama. Tremonti come il presidente Usa?
«Mi pare che il governo abbia fatto il Robin Hood a parole e lo sceriffo di Nottingham nei fatti: un regalo come quello dei proventi derivanti dallo scudo fiscale – le banche – non lo rivedranno chissà per quanti anni».

Arriviamo alla riforma fiscale: condivide lo spostamento delle imposte dalle persone alle cose?
«Vorrei si parlasse di questo più che di giustizia: non perché non sia necessaria ma perché gli italiani la mettono al settimo posto, dopo occupazione e tasse. Solo per il premier è la priorità. Detto questo, è facile condividere il giudizio negativo sul nostro fisco. Il punto è come cambiarlo ed è deludente che Tremonti sposti tutto al 2013».

Chi va piano va sano e va lontano, dice Tremonti.
«E invece bisognerebbe accelerare perché l’Italia ha tre record negativi: abbiamo la quota di nero più vasta d’Europa abbiamo la più alta tassazione sul lavoro e sulle imprese; infine, abbiamo la più bassa tassazione sulle rendite. Il messaggio che viene inviato a qualunque italiano è chiaro: puntare sul nero o sulla rendita, Una distorsione. Il premio deve andare all’impresa e al lavoro».

Dunque dalla produzione verso le rendite, su questo concorda?
«Considero un passo avanti importante la posizione di Tremonti su questo punto. Per le ragioni che ho detto, il carico fiscale deve spostarsi dalla produzione verso i consumi e le rendite, anche in considerazione dell’inflazione. Distinguendo come fa giustamente il ministro la speculazione dal risparmio. Ora, però, va imboccata con più convinzione una strada di successo come il contrasto di interessi: il piano di ristrutturazione immobiliare va esteso agli affitti introducendo la cedolare secca E si deve insistere sulla semplificazione: raddoppiamo il forfettone da 30mila a 60mila euro».

Il ministro dell’economia dice che serve la grande riforma non il cacciavite che propone Enrico Letta.
«I 34 interventi con il cacciavite di cui parla Tremonti sono una citazione tratta dall’ultimo rapporto Arel, curato da Treu e Dell’Aringa, in cui si parla di welfare. Sono misure che riteniamo efficaci per dare nuova forma al nostro sistema di protezione sociale. Oggi c’è un clima di fiducia nel paese e non serve dare messaggi ansiogeni come può essere l’annuncio di una mega riforma dietro cui ogni italiano leggerebbe, in controluce, i tagli alle pensioni».

Ma per intervenire servono o no tagli sulle pensioni?
«Rilevo che su questo punto Tremonti tace. Penso invece che una discussione possa essere fatta seguendo due titoli. Il primo è come incoraggiare l’innalzamento volontario dell’età pensionabile. L’altro si fonda su una domanda: ci rendiamo conto o no che le pensioni di chi ha cominciato a lavorare 10 anni fa saranno da fame? Non si può mettere la testa sotto la sabbia».

Ma Tremonti dice no alla macelleria sociale e lei sarà d’accordo.

«Il welfare va toccato perchè è ingiusto, perchè non aiuta le famiglie ma le usa come ammortizzatore sociale. E qui approdiamo anche alla discussione sui bamboccioni. Ma come si fa ad affrontare il problema se manca l’housing sociale! Devo dire che la fondazione di Guzzetti – nominerei lui tra gli uomini dell’anno – sta facendo un’opera meritoria guidando le attività delle fondazioni per la costruzione di nuovi alloggi e a sostegno delle piccole imprese. Devo riconoscere che governo e cassa depositi e prestiti hanno dato seguito a questa attività. Ecco, i 34 interventi di cui parlo, vanno inseriti in questa logica che ribalta il nostro welfare maschilista, datato anni 70 e fondato su un uomo adulto e sulla grande fabbrica. Il nuovo perno deve essere sulla donna, la piccola impresa, i parasubordinati e la famiglia. Oggi il secondo figlio è più oneroso del primo:il meccanismo di aiuti deve funzionare al contrario».

Sulle politiche per le imprese la speranza è in Europa? Se fosse ancora all’industria starebbe più a Bruxelles?
«Non credo che oggi si possa fare affidamento sulla Commissione Barroso che è stata una delle vittime della crisi anche per auto-emarginazione. Ma pure il ministero dello Sviluppo avrebbe bisogno di più voce e più poteri. Di più iniziativa per esempio sul Sud. Non una parola è stata spesa da Tremonti mentre Pierluigi Bersani da tempo ha messo sul tavolo la proposta di una no tax area per il Mezzogiorno. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa il Governo»