No a Vendola, si sgonfierà. Con Casini già alle Comunali

No a Vendola, si sgonfierà. Con Casini già alle Comunali

Intervista rilasciata da Enrico Letta ad Aldo Cazzullo, “Corriere della Sera”, 16 gennaio 2011

Enrico Letta, Casini offre al governo la pacificazione e dice al Pd di scegliere tra lui e Vendola. Voi cosa rispondete?

«Non ho interpretato l’intervista di Casini come una chiusura. L’alleanza tra moderati e progressisti è lo schema che frequento da tempo, ed è uscito rafforzato dalla direzione del Pd. Sperimentiamolo insieme, per battere i populisti. Siccome Berlusconi dice che non si va a elezioni anticipate, la prossima tappa saranno le Amministrative. Per molti motivi — le esperienze civiche, le difficoltà di un centrodestra senza candidati — le elezioni del sindaco di Torino, Bologna e Napoli sono l’occasione giusta per costruire l’alleanza, facendo prevalere il pragmatismo sull’ideologia. Come accadde per l’Ulivo vincente di Prodi, il cui embrione fu Martinazzoli sindaco di Brescia».

Quindi tra Vendola e Casini il Pd dovrebbe scegliere Casini?

«Vendola è un fenomeno mediatico personale, non un soggetto politico radicato. Sul territorio, la sinistra radicale ha un peso molto ridotto, non determinante. Determinanti possono essere i moderati, ad esempio a Napoli».

Senza Di Pietro e Vendola, non temete di lasciare troppo spazio a sinistra?

«Nelle Marche, dove c’è un vero centrosinistra con la sinistra radicale all’opposizione, Di Pietro è in maggioranza. Da altre parti potremmo avere l’appoggio, non decisivo, di Verdi e Sel. Bersani sta lavorando per un’alleanza larga delle opposizioni, e io lo sostengo; quando arriverà il momento delle elezioni nazionali, non ci faremo trovare impreparati. Sono convinto che il fenomeno mediatico Vendola si sgonfierà. Quando si va nelle cose concrete, Vendola in Parlamento non c’è, e alle amministrative neppure».

A Milano ha il candidato sindaco.

«Pisapia non è Vendola. Milano fa storia a sé. Compresi i nostri errori. Comunque, Vendola ai cancelli della Fiat dimostra la differenza irrisolvibile tra noi e la sinistra radicale».

Anche D’Alema e Bersani hanno avuto parole dure per Marchionne.

«La posizione del Pd ha tenuto conto della complessità della situazione, dovuta a regole antiquate. Ora è importante che gli investimenti promessi arrivino davvero, che le parti sociali scrivano nuove regole e il Parlamento le renda legge. Il Pd ha auspicato la vittoria del sì, ma nel rispetto delle ragioni e del dramma di tutti gli operai. Nessuno di noi si è permesso di strumentalizzare una vicenda drammatica sulla pelle degli operai, recandosi ai cancelli per lucrare qualche voto sulla paura e la sofferenza. Un metodo che non ci appartiene».

In molti, però, hanno dato retta a Vendola e alla Fiom, votando no.

«E’ stato Berlusconi ad azzoppare il fronte del sì. Con la sua sconsiderata minaccia di agevolare l’esodo della Fiat dall’Italia in caso di vittoria del no, stava per farlo vincere davvero».

Comunque il sì ha prevalso. Che cosa cambia in Italia?

«Il risultato va preso per quel che è. Riguarda la Fiat. Diffido di chi ha fatto cambiare mestiere a Marchionne, investendolo del ruolo di premier. Marchionne non è il premier; è un manager. La Fiat è l’unica grande impresa privata italiana, da sola vale il 5% del Pil, ha fatto le sue scelte legate al mercato internazionale dell’auto. Ma il restante 95% di piccole e medie imprese non ha nulla a che vedere con la vertenza Fiat. Ha bisogno di una politica industriale e della riforma fiscale. Il referendum di Mirafiori non può sostituire una politica industriale che non c’è».

II Partito democratico, di cui lei è vicesegretario, rischia la scissione?

«Non credo, ma siamo di fronte a una sfida inedita. Nei precedenti 15 anni, i potenziali alleati non erano concorrenti. Alla sinistra e alla destra dell’Ulivo c’erano Bertinotti e Dini, che avevano storie, agende e linguaggi propri: aggiungevano voti, non ne toglievano. Oggi noi ci troviamo Vendola e Casini, che vengono dai due partiti e dalle due tradizioni politiche che il Pd intende fondere. Le voci che richiamano l’identità vengono sia da sinistra sia dai moderati. E i compagni di Ulisse devono tapparsi le orecchie per non sentirle».

Il terzo polo è una sirena irresistibile per i cattolici?

«Il pericolo c’è. Come c’è il pericolo che l’altro versante ascolti le sirene della Fiom. Per questo il Pd è chiamato a un grande sforzo unitario, che eviti divisioni, spaccature, fughe. Dall’assemblea di Napoli del 28 e 29 gennaio uscirà la nostra proposta per la ripresa e per il futuro. Guardiamo alla logica del decennio che ci attende».

Quale decennio ci attende?

«Gli Ottanta sono stati gli anni dell’euforia. I Novanta, del rigore. Gli anni 2000 sono stati quelli dell’incoscienza. Gli anni Dieci cominciano con un bivio: decadenza o risveglio. Nell’ultimo decennio, come documenta Abravanel, il reddito procapite degli italiani è diminuito, mentre quello di tutti gli altri saliva. Il primo responsabile dell’incoscienza collettiva è Berlusconi, con il suo sorriso a 32 denti qualunque cosa accadesse. Ora noi dobbiamo indirizzare il Paese verso il risveglio anziché verso il declino. Accogliendo l’appello di Napolitano: obiettivo giovani».

Faccia una proposta concreta.

«Il contratto d’avvenire. Uno strumento che superi la precarietà e aiuti le imprese. Se assumi un under 35, per i primi tre anni tasse zero e contributi crescenti, con un incentivo alla stabilizzazione. Il dramma italiano è la differenza fra i trentenni del boom, che facevano figli, avevano più lavori e mantenevano i genitori, e i trentenni di oggi, che fanno pochi figli, non hanno lavoro e sono mantenuti dai genitori, magari con il Tfr. Ci stiamo vendendo l’argenteria. Dobbiamo dare lavoro ai giovani, a 20, 25 anni. A qualsiasi costo».

Lei si dice convinto che non ci saranno elezioni anticipate. Ma sul federalismo il Pd cosa farà?

«Bisogna fare di tutto perché il federalismo sia approvato, e bene. Il federalismo è positivo, purché non sia considerato una bandiera per Bossi da sventolare in campagna elettorale. Va fatto insieme, in modo che ognuno vi si riconosca. Non è vero che tutto si decide ora: servono quattro anni per l’attuazione, un eventuale nuovo governo potrebbe cambiare ogni cosa».

A quali condizioni votereste i decreti attuativi?

«Cedolare secca sugli affitti, sia per i proprietari sia per gli inquilini, che scalino l’affitto dalle tasse. E la garanzia che non ci siano sorprese: prima si definiscono i fabbisogni, poi la perequazione. Prima stabiliamo quanto serve per pagare asili nidi e tac, poi si fissa il fondo di solidarietà per non lasciare le aree deboli senza servizi».

Che effetto le fanno le rivelazioni su Ruby?

«Reato o non reato, un premier non può comportarsi così».

Il Pdl fa notare la concomitanza dei tempi: via lo scudo giudiziario, si apre un nuovo fronte.

«A prescindere dall’intervento della magistratura, il comportamento del premier è censurabile. Ed è esattamente l’opposto di quanto ogni giorno si insegna in qualunque oratorio».

Casini potrebbe essere il vostro candidato?

«Non mettiamo il carro davanti ai buoi. Prima si scrive il programma, poi si costruisce la coalizione, infine si sceglie il leader e noi naturalmente supporteremo il nostro segretario».

Con le primarie?

«Come partito, noi sosteniamo le primarie anche per scegliere i parlamentari. Come coalizione, dobbiamo decidere con gli alleati».

Chi prende Casini prende anche Fini. Nessun imbarazzo?

«Guardiamo al congresso milanese di Futuro e libertà con grande attenzione. Ci saremo. Cercheremo di ascoltare e capire, con una logica molto pragmatica. Non contano le ideologie ma i fatti: economia, Sud, Europa. Andare alle elezioni con tre poli come nel ’94 sarebbe irresponsabile. E non credo che il terzo polo avrebbe grande spazio».