Populismo ed Europa, il nuovo libro di Enrico Letta

Populismo ed Europa, il nuovo libro di Enrico Letta

Daniela Preziosi, il manifesto, 15 marzo 2017

europe crisis

 

 

 

 

 

 

 

«Se c’è una cosa che non sopporto è la crescente malafede nell’uso strumentale del concetto di populismo. Vi si mette dentro tutto e il suo contrario», «Il populismo, si dice, è la causa di tutte le sconfitte della politica odierna». È l’introduzione del nuovo libro dell’ex premier Enrico Letta, «Contro venti e maree. Idee sull’Europa e sull’Italia» (il Mulino, 160 pp, 14 euro), in uscita domani in Italia ma nei prossimi giorni anche in Francia, Germania e Spagna. L’occasione sono i sessant’anni dai Trattati di Roma e il rischio per l’Unione «di morire», il contesto è la cronaca di questi giorni e di questi anni: dalla crisi dell’euro alle prossime cruciali scadenze elettorali nazionali (Olanda, Francia, Germania, Repubblica Ceca).

Nel dialogo con Sébastien Maillard, corrispondente del quotidiano cattolico francese La Croix, l’ex esponente del Pd oggi preside della Scuola di Affari internazionali di Sciences Po riflette da europeista convinto, ma a tratti anche autocritico, sulle mine che stanno esplodendo sotto il terreno sconnesso dell’Unione: il ritorno ai nazionalismi, Brexit e in generale i referendum (che l’autore considera «scorciatoie che danno l’impressione artificiale di aiutare la democrazia, mentre la indeboliscono»), gli errori di un euro nato senza unità economica e politica («I tedeschi non hanno voluto intraprendere altre integrazioni oltre a quella della moneta»), la bontà del ruolo del presidente della Bce Draghi (sul punto l’opinione dell’autore è inscalfibile). Seguono proposte per superare la crisi dei migranti, argomento già affrontato a più riprese a proposito dell’operazione Mare Nostrum ,e per cambiare l’Europa, con scelte anche di dettaglio consegnate al dibattito pubblico.
Lo stile felpato di Letta è quello di sempre, poche le concessioni alla polemica diretta. Ma stavolta, come recita il sottotitolo del libro, le vicende italiane sono uno degli oggetti del dialogo. Letta sa di pubblicare nel fuoco della campagna delle primarie del suo partito, dalla quale ha promesso di tenersi fuori. Anche se è noto che il gruppo di deputati ed eurodeputati che gli è rimasto vicino si è schierato con il Guardasigilli Orlando contro Renzi, l’uomo che anche nella sua ultima versione continua di fatto ad accusare qualsiasi critico di essere «gufo» e «rosicone».

Letta vuole sfuggire a questo livello di polemica, così le citazioni dell’ex segretario Pd si contano letteralmente sulle dita di una mano. Ma certo sempre per esemplificare comportamenti di una leadership poco virtuosa. Che utilizza, appunto, strumentalmente il bersaglio polemico dell’Europa e del populismo. Neanche troppo in filigrana, il posizionamento culturale dell’ex premier è all’opposto: la parola populismo è usata nel senso di un’accozzaglia in cui vengono accomunati «Marine Le Pen e i militanti del M5S, o l’olandese Geert Wilders e Albert Rivera di Ciudadanos». Ma si tratta di fenomeni ben diversi unificati solo dal non essere « riconducibili alle tradizionali famiglie politiche». Mettere tutto insieme serve a trovare «la peste», la grande colpevole, e «salvare i gruppi dirigenti, evitare che i loro errori siano evidenziati e le responsabilità rese visibili e sanzionate». In un gioco infinito di scaricabarile. Stesso destino per la Ue, colpevole di molto ma non di tutto, «il capro espiatorio più usato», «a forza di leader nazionali che per ripulirsi ci hanno spiegato che tutto era colpa della Ue».

Altro vizio culturale, quello di associare l’idea della leadership a quella dell’uomo forte. Un «mito ingannevole», scrive, quando oggi serve il contrario: non la «leadership solitaria, concentrata» ma quella «che suscita e associa gli altri centri decisionali, che li coinvolge, li fa lavorare e li responsabilizza. Una leadership di connessioni, in grado di operare in orizzontale», né «basata solo sulla verticalità del potere, non più adeguata ai nostri tempi». La fotografia è chiara. E non è quella di Renzi.