Severino: “Niente muri, non è una rivoluzione”

Severino: “Niente muri, non è una rivoluzione”

Intervista rilasciata dal Ministro della Giustizia, Paola Severino, a Donatella Stasio, pubblicata su Il Sole 24 Ore, domenica 22 gennaio 2012

Gli avvocati, da giorni sul piede di guerra, confermano scioperi a raffica contro le misure appena varate dal governo, in particolare sull’abolizione delle tariffe. E dal Parlamento si aspettano modifiche. Ma il ministro della Giustizia Paola Severino confida nella «ragionevolezza» dei suoi ex colleghi e, come il presidente del Consiglio, gela le aspettative di cambiamento. «Mi auguro proprio che non si alzino muri contro il decreto», dice in questa intervista, confermando la linea-Monti.

Ci volevano un governo tecnico e un ministro avvocato per tener testa agli avvocati?
Non vorrei prendermi né meriti né demeriti eccessivi sulle professioni perché l’abolizione delle tariffe non è un’assoluta novità ma ha una lunga storia alle spalle, essendo stata preceduta dalla legge Bersani e, l’estate scorsa, dalla legge di stabilità che poneva una serie di princìpi.

L’Italia è il Paese dei principi inattuati…
In questo caso i princìpi comportavano il potere/dovere di regolamentare l’abolizione delle tariffe e la materia professionale entro agosto 2012 con un decreto ministeriale. Noi abbiamo semplicemente portato in un decreto legge ciò che comunque sarebbe stato attuato entro agosto, anticipando di qualche mese la normativa. Semmai, il decreto ha sancito in modo più chiaro l’ambito di esclusione delle tariffe. Peraltro, quando lunedì scorso ho incontrato i rappresentanti delle professioni, il 99% dei presenti dava già per scontata la scomparsa delle tariffe. Il che mi ha molto confortata nell’idea che non si sarebbe fatto nulla di sconvolgente, ma che il principio dell’abolizione fosse già stato ampiamente elaborato dalle professioni.

Non si direbbe un’elaborazione del lutto, viste le reazioni al decreto e gli scioperi proclamati…
Confido nella ragionevolezza. Forse si dovrebbe spiegare meglio che queste misure non mirano ad abbattere l’avvocatura ma solo a darle una migliore regolamentazione. Non sono rivoluzionarie, come qualcuno le ha rappresentate, ma tappe di avvicinamento a un obiettivo che contemperi concorrenza e miglioramento della qualità nelle professioni.

Alcune ricostruzioni giornalistiche del lungo consiglio dei ministri riferiscono di momenti di tensione proprio sul tema delle tariffe e di resistenze proprio da parte sua, a fronte di una forte determinazione del presidente Monti e di altri ministri. È andata così?
No. Questo è un governo formato da tecnici e tutti danno il loro contributo, il che rende le riunioni forse più lunghe, ma anche più proficue. Nella discussione di venerdì non è mai stata messa in dubbio l’abolizione delle tariffe perché tutti siamo convinti che c’era un principio molto solido da attuare. La discussione si è incentrata sulle conseguenze dell’abolizione delle tariffe, in particolare quando il giudice deve liquidare le spese legali.

Gli avvocati sostengono, fra l’altro, che l’abolizione delle tariffe possa far scadere la qualità della prestazione professionale. C’è questo rischio?
La risposta è no e lo dico anche alla luce della mia esperienza di avvocato. Non vedo proprio interferenze tra tariffe e qualità, anzi, una maggiore concorrenza dovrebbe alzare il livello della qualità. Se sono un monopolista o un oligopolista, e quindi so di avere pochi concorrenti, sarò meno stimolato a elevare la qualità delle mie prestazioni; se so, invece, di avere molti concorrenti, so anche che l’unico modo per emergere, per farmi apprezzare e per farmi valere anche sotto il profilo del compenso, è migliorare la qualità della mia prestazione. Insomma, in un sistema di libera concorrenza sei pagato in relazione a quello che vali.

L’obbligo del preventivo è una garanzia per il cliente, anche se, soprattutto nel penale, non tutto è sempre prevedibile in anticipo.
Il cliente deve sapere quali sono le possibili varianti. Il rapporto con il professionista è caratterizzato dalla fiducia e la fiducia si conquista in primo luogo con la trasparenza. Trattare il proprio compenso con il cliente in modo chiaro, fornirgli tutte le informazioni utili sulla difficoltà di un incarico o sull’importanza di un’opera è un elemento di chiarezza fondamentale.

Gli avvocati possono contare su un ampio fronte parlamentare, trasversale ai partiti, e fanno affidamento su modifiche al decreto, in sede di conversione. Sembra però che stavolta il presidente Monti abbia detto che non si cambia nulla. Lei è d’accordo?
Auspico che in Parlamento non ci siano muri contro queste misure. Come ho detto prima, confido nella ragionevolezza e nel fatto che non sono misure rivoluzionarie. Credo che altri siano i temi critici da affrontare, per esempio quello delle società di professionisti, su cui presto convocherò un tavolo di confronto.

Venerdì è anche nato il Tribunale delle imprese, specializzato nel diritto dell’economia. Lei ha sottolineato l’importanza della specializzazione per il recupero di efficienza della giustizia e, quindi, per la competitività del sistema Paese. È la stessa logica che anima la riforma della geografia giudiziaria, strategica per contribuire alla crescita economica. Anche sul taglio dei “tribunalini” c’è una delega da attuare entro il 2012, ma anche qui gli avvocati sono sul piede di guerra. Il governo sarà altrettanto determinato o partorirà un topolino?
Anzitutto confermo che entro marzo/aprile sarà presentato lo schema di decreto di attuazione della delega. Quanto al topolino, la risposta è no. Il tavolo di consultazione, già avviato, sta individuando i criteri più oggettivi per stabilire se e quali tribunali tagliare. Non criteri personalistici, ma basati su parametri certi, di cui terremo aggiornato il Parlamento in sede di commissione.

La sua relazione sull’anno giudiziario e sulle riforme del governo sulla giustizia è stata approvata con una mozione parlamentare quasi unanime, ma due giorni dopo l’unanimità si è sfaldata sul decreto-carceri, che il governo considera prioritario per affrontare l’emergenza sovraffollamento. Questo la preoccupa?
Una cosa è condividere dei principi, altra cosa è affrontare specifiche soluzioni tecniche, con cui bisogna confrontarsi.

Dietro la questione tecnica c’è una questione politica, in particolare nel Pdl, dove una parte è favorevole all’idea che in caso di arresto in flagranza gli arrestati possano andare ai “domiciliari” (invece che in carcere), mentre un’altra parte – come la Lega – esclude gli arresti domiciliari, assimilandoli peraltro alla libertà, mentre libertà non sono.
Mi fa piacere che rilevi questa differenza. Credo che nel caso specifico vi sia un mix di problemi tecnici e politici ancora da risolvere. Personalmente credo ragionevole prevedere, in base alla valutazione che ne fa il giudice, tre possibili esiti: il carcere, se l’arrestato è pericoloso; i domiciliari, se è meno pericoloso; la liberazione totale se l’arresto non viene convalidato. Se poi questo si fa in 48 ore invece che in 96, si ottiene sicuramente un buon risultato.

Un’ultima domanda. Anche l’inefficienza della giustizia penale incide sulla credibilità dell’Italia, all’estero e sui mercati. La prescrizione brucia ogni anno dai 150mila ai 170mila processi e costa allo Stato dai 75 agli 80 milioni di euro. Europa e Ocse ci chiedono di allungarne i tempi per una più efficace lotta alla corruzione; la Cassazione chiede una riforma per arginare l’«abuso del processo». Insomma, il tema è strategico, ma politicamente sensibile. Finora lei non ne ha mai parlato. Perché?
Non lo considero un tabù, ma credo che prima si debba percorrere la via principale, cioè rendere più celere il processo per rendere giustizia a tutti, soprattutto agli innocenti. Il numero dei detenuti in attesa di giudizio è spaventoso e io credo che essere dichiarati colpevoli o innocenti in tempi ragionevoli sia un diritto fondamentale. Preferisco battermi prima per l’efficienza del processo, indivuando le cause della lentezza, anche quelle apparentemente banali come i tempi di trasmissione degli atti da un ufficio all’altro o la lentezza delle notifiche. Credo poi che l’informatizzazione possa essere di grande aiuto per accelerare. Solo in un secondo momento possiamo ricorrere a rimedi succedanei, come la prescrizione. È un problema di priortà.

Leggi il commento di Enrico Letta