Verso Bruxelles: priorità lavoro per i giovani

Verso Bruxelles: priorità lavoro per i giovani

Il Governo Letta alla CameraIl testo integrale dell’intervento tenuto dal Presidente del Consiglio, Enrico Letta, alla Camera dei deputati in occasione delle comunicazioni del Governo al Parlamento sul Consiglio Europeo del 27 e 28 giugno.

 

 

 

 

Signora Presidente, onorevoli colleghi,

un discorso oggi in vista del Consiglio europeo non può che cominciare con un pensiero e un ricordo all’ultimo Presidente che l’Italia ha dato al Parlamento europeo, scomparso ieri sera, il senatore Emilio Colombo.

Dunque, solo poco più di quarantotto ore ci dividono dal Consiglio del 27 e 28 giugno. Negli ultimi cinquanta giorni, da quando questo Governo è nato, ne abbiamo parlato a più riprese:  in quest’Aula e nel dibattito pubblico. Lo abbiamo fatto sempre, sia pure con accenti e stili diversi, all’insegna di una consapevolezza condivisa: quello che ci attende a Bruxelles sarà un confronto duro e importante. Sarà un confronto politico. Politiche vogliono e debbono essere dunque queste mie comunicazioni alle Camere, così come politico sarà l’intervento di cui mi farò portatore dentro la sala del Consiglio europeo.

Porrò l’accento una volta ancora sul dramma del lavoro che non c’è, sugli oltre 15 milioni di ragazzi senza un’occupazione, una prospettiva, un’opportunità di realizzazione, sull’Europa che o dà risposte concrete e immediate a problemi epocali come quelli che viviamo oppure lentamente muore. Un’Europa che stenta ad uscire dalla recessione, nella quale il livello degli investimenti pubblici è crollato negli ultimi anni e il rubinetto del credito bancario si è contratto drasticamente in alcuni Stati membri. Un’Europa che non riesce a riprendere velocità e nella quale le ombre sulla tenuta della moneta unica non sono ancora state fugate del tutto.

Sono bastate negli ultimi giorni le notizie arrivate da due posti così lontani e diversi tra loro – Karlsruhe, sede della Corte costituzionale tedesca, e Atene, con la decisione del Governo greco di chiudere la televisione pubblica – per dare il segno che la crisi non è ancora finita, per riportare immediatamente l’attenzione sui mercati, far salire i tassi di interesse sul nostro debito e su quello degli altri Paesi europei.

Sappiamo che il tempo stringe, che gli obiettivi fissati vanno realizzati al più presto. Sappiamo che dobbiamo contrastare la tendenza insidiosa all’inerzia, alla difesa ostinata di impostazioni rigide, alla protezione egoistica di prerogative nazionali. Sappiamo che, se si ferma, l’Europa così com’è è perduta.

Da queste consapevolezze possiamo però ripartire dal prossimo Consiglio europeo. Al primo punto dell’agenda ci sarà, come sapete, la lotta alla disoccupazione giovanile. Ci si occuperà poi di finanziamento alle imprese e all’economia reale, di riforme strutturali e di unione bancaria.

Su tutti questi temi la risoluzione approvata dal Parlamento lo scorso 21 maggio ha fatto da guida all’azione di preparazione e di negoziato del Governo nelle ultime settimane.

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Oggi voglio dunque esporre qui i risultati di questa azione e le nostre aspettative per i risultati del Consiglio europeo.

Partiamo dall’occupazione giovanile. È una realtà drammatica, che conosciamo bene: precariato, tutele diseguali, inattività, su tutto un elevatissimo tasso di disoccupazione che in Italia colpisce ormai oltre il 40 per cento dei giovani tra i 15 e i 24 anni. È un dramma italiano, ma è anche un dramma europeo, collettivo e generazionale.

Oggi, in Europa, un giovane su quattro è disoccupato. In alcuni Stati membri la soglia supera, addirittura, il 50 per cento: un livello senza precedenti nel secondo dopoguerra. Dall’inizio della crisi, il numero di giovani disoccupati o inattivi non ha cessato, del resto, di crescere; continua, anzi, ad aumentare giorno dopo giorno.

Per questo, fin dai primi momenti di vita del mio Governo, ho chiesto che il tema diventasse centrale proprio nell’agenda del Consiglio europeo di giugno. È per tutti noi una scelta dirimente, identitaria, mi verrebbe da dire, ed è soprattutto un obbligo per le nostre generazioni e per l’intero Paese, che ha la responsabilità di indirizzare i processi di sviluppo economico e sociale.

Guardiamo per un istante indietro: nella prima fase della crisi sono state compiute, negli ultimi cinque anni, scelte che hanno mirato, anzitutto, a proteggere il lavoro attuale, non quello futuro; quello che c’era o che si perdeva, non quello da generare. Penso all’attenzione prioritaria attribuita alla tutela dei lavoratori già inseriti nel mercato del lavoro con forme di cassa integrazione ed ammortizzatori sociali.

È giusto, è stato giusto fare così. Ma penso, poi, anche alla riforma delle pensioni, che ha determinato, prima di tutto, un allungamento considerevole della vita professionale dei lavoratori. Sono state scelte inevitabili; scelte, tuttavia, che, benché comuni a quasi tutti gli altri Stati membri, hanno scaricato prevalentemente sui più giovani il peso dell’aggiustamento del mercato del lavoro e del welfare.

Oggi non possiamo più ignorare questi squilibri. Non è solo la dimensione quantitativa della disoccupazione giovanile a preoccupare: è il rischio che diventi strutturale e letteralmente «bruci» un capitale umano prezioso e irripetibile. Eurofound ha stimato che il costo della disoccupazione giovanile in Europa, in termini di reddito perduto e di maggiori oneri di assistenza sociale, è pari a circa 153 miliardi di euro l’anno.

Centocinquantatre miliardi di euro: una dissipazione senza pari, uno sperpero che la crisi esaspera, in un paradossale circolo vizioso. Come possiamo, infatti, far sì che i nostri sistemi industriali, le nostre economie, escano dalla recessione e reggano la sfida della competitività internazionale e dell’innovazione, se, poi, mortifichiamo un’intera generazione, quella più fresca, attiva, potenzialmente preparata, proprio nel momento stesso in cui essa si appresta ad entrare nel mercato del lavoro ?

Come se non bastasse, vi è un prezzo meno visibile, ma più subdolo, da pagare. È il costo connesso alla creazione di una generazione tradita, e quindi ferita. Una generazione segnata da cicatrici profonde, come ha rimarcato recentemente l‘Organizzazione internazionale del lavoro. Le cicatrici sulla comunità lasciate dalla frustrazione, dal risentimento e dalla rassegnazione sono le più difficili da cancellare ed è su di esse che allignano e poi si propagano il populismo e l’antipolitica, l’ostilità verso l’istituzione pubblica e verso l’Europa, la xenofobia, il rifiuto dell’integrazione, la rabbia, il conflitto.

Per questo non potevamo accettare che il Consiglio europeo di giugno si occupasse soltanto di procedure, di governance, di tecnicismi. Per questo volevamo che si discutesse di problemi veri, di questioni che entrano ogni giorno, ogni sera, nella vita di tutte le famiglie italiane ed europee. Ho sollevato la necessità con vari leader europei già nei primi incontri internazionali, riscontrando ovunque un consenso largo e perfino inaspettato.

Ho voluto che l’Italia ponesse un problema politico, ma contribuisse anche, con idee concrete, a fornire risposte pratiche. Ho scritto al Presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, il 24 maggio, inviando le proposte italiane per un’agenda europea di azioni contro la disoccupazione giovanile crescente. Come sapete, un primo traguardo è stato raggiunto: quello del lavoro giovanile, del lavoro per i giovani, è ora un cardine della nuova agenda europea. È un risultato politico che rivendico.

Fare dell’occupazione giovanile un punto centrale di dibattito al Consiglio significa anche imprimere una direzione nuova alle scelte europee, in modo pragmatico, rifuggendo dal confronto semplicistico e inconcludente che ci ha accompagnato negli ultimi anni.

Volevamo lanciare un messaggio sull’anima sociale del vecchio continente, parlare all’Europa dei popoli. Ci stiamo riuscendo? Sei mesi fa si discuteva essenzialmente di finanze pubbliche, di tagli ai bilanci, di condizionalità per i programmi di assistenza degli Stati membri. Oggi, ci si confronta sulla formazione professionale, sugli investimenti sociali in capitale umano, sui finanziamenti alle imprese innovative create dai giovani.

Il Governo italiano ha operato affinché in tutte le sedi europee maturasse la consapevolezza che promuovere il lavoro per i giovani impone una maggiore integrazione tra politiche fiscali e politiche per il lavoro. È questo il senso dell’incontro che abbiamo organizzato a Palazzo Chigi il 14 giugno scorso, presenti i Ministri delle finanze e del lavoro dei quattro più grandi Stati dell’area dell’euro, Francia, Germania, Spagna e, naturalmente, l’Italia che ospitava.

È un formato, quello dei Ministri del lavoro e delle finanze insieme, che non ha precedenti nella dinamica europea. È un formato per noi importante: significa coniugare la dimensione macroeconomica e quella dell’occupazione, costruire politiche integrate, mettere insieme i bilanci e la società, i numeri e le persone; significa dire all’Europa che l’Europa non è soltanto l’Ecofin, l’Europa non è soltanto l’Eurogruppo, l’Europa non è soltanto la moneta: l’Europa sono innanzitutto le persone.

Roma, per un giorno, è stata la capitale della lotta alla disoccupazione giovanile. Ora la capitale diventa itinerante, Bruxelles giovedì e venerdì poi, la settimana prossima, il 3 luglio, Berlino, con un incontro dedicato specificamente al lavoro per i giovani.

L’Italia vuole essere in prima fila. Ne ha la volontà. E per questo domani il Consiglio dei ministri approverà un pacchetto di misure per migliorare il funzionamento del mercato del lavoro, aumentare l’occupazione, soprattutto quella giovanile, e sostenere le famiglie in difficoltà. Il decreto-legge conterrà interventi per accelerare la creazione di posti di lavoro a tempo indeterminato, attraverso forme di decontribuzione per le imprese che assumono giovani in difficoltà economica o convertono contratti temporanei in contratti a tempo indeterminato, renderà più agile la disciplina sui contratti a tempo determinato senza con questo diminuire le tutele, introdurrà misure per ridurre la disoccupazione e l’inattività dei giovani, favorendo l’alternanza scuola lavoro e l’attivazione di percorsi professionali di medio termine.

Si tratta – voglio porlo bene in evidenza – di scelte indipendenti da quanto avverrà a Bruxelles giovedì e venerdì, ma che evidentemente sono in sintonia con quello che proporremo e che discuteremo a Bruxelles.

Forte di questa nostra iniziativa, chiederò giovedì e venerdì, a nome vostro, con fermezza, che l’Unione non abbandoni a se stessi gli Stati membri, ma ne supporti e rafforzi l’azione, mettendo in campo misure concrete, visibili ed effettive.

Non è la prima volta che il Consiglio europeo affronta questo dossier. Lo ha fatto già nel marzo del 2005 con un Patto per la gioventù, che però poi ha avuto scarso seguito. Lo ha fatto a più riprese nei mesi passati con dichiarazioni di valore soprattutto politico. Ora, chiediamo e vogliamo uno sforzo in più: niente asserzioni di principio, ma decisioni immediate che restituiscano il senso dell’urgenza su questo tema, strumenti operativi europei e nazionali, risorse, timing stringente che concentri l’intervento su un orizzonte temporale breve per ottenere il massimo dell’impatto subito. Come si traducono questi impegni ?

In primo luogo facendo sì che il modello della garanzia per i giovani, la Youth Guarantee, approvato dal Consiglio europeo ad aprile e che prevede che entro quattro mesi ogni giovane laureato riceva una offerta di lavoro, di studio o di apprendistato di qualità, diventi il parametro di riferimento per tutti gli Stati membri. Questo schema ha funzionato bene in Austria e in Finlandia, per esempio. Attuarlo in Italia comporterà una rivoluzione del nostro sistema delle politiche di attivazione e di orientamento al lavoro.

Un cambiamento tanto più agevole ed efficace, se attuato entro un quadro europeo certo: per questo, nei prossimi mesi, anche alla luce di quanto sarà deciso a Bruxelles, vareremo un secondo pacchetto di interventi, proprio per dare attuazione in Italia alla garanzia per i giovani e per migliorare i servizi all’impiego.

L’Europa dovrà mobilitare tutte le risorse disponibili. Chiediamo dunque di accelerare al massimo l’avvio dell’iniziativa europea per l’occupazione giovanile, un fondo istituito a febbraio scorso per il periodo 2014-2020, in modo che i primi progetti possano essere già finanziati subito, a partire dal 1° gennaio. Chiediamo che l’uso del fondo, però, sia concentrato nei primi due anni, il 2014 e il 2015, e non più spalmato su sette. Sei miliardi di euro della garanzia significano circa 1.360 euro a disposizione di ciascuno dei potenziali beneficiari tra i giovani inattivi. Date le condizioni è qualcosa, ma certo non basta. Per questo chiediamo che nel 2016 vi sia una revisione dello strumento e si aumenti la dotazione finanziaria per gli anni successivi.

L’altra fonte di sostegno alle iniziative per i giovani sono, come è noto, i fondi strutturali, dai quali arriveranno circa 55 miliardi di euro all’Italia nei prossimi sette anni. Chiediamo che nella nuova programmazione la promozione di lavoro per i giovani abbia la priorità, così come riteniamo importante l’utilizzo del Fondo sociale europeo per finanziare incentivi all’assunzione dei giovani, anche mediante quella riduzione del cuneo fiscale che rappresenta per noi una fondamentale priorità.

Vogliamo poi che l’Unione europea usi in modo mirato una delle sue carte migliori: la Banca europea per gli investimenti. Chiediamo che la BEI aumenti il credito erogato alle piccole e medie imprese, che rimangono per noi punto di riferimento essenziale. Attualmente questo credito è di circa 13 miliardi di euro ed è necessario che sviluppi strumenti specifici volti a sostenere l’occupazione giovanile e gli investimenti pubblici nella formazione professionale e nell’istruzione, anche in coordinamento con le istituzioni finanziarie nazionali, come la Cassa depositi e prestiti in Italia.

Inoltre, chiediamo passi avanti nelle misure per facilitare la mobilità dei lavoratori all’interno del mercato unico: la mobilità europea dei giovani è nei fatti, ma ancora siamo lontani da un mercato unico del lavoro. È necessario abbattere le barriere giuridiche che restano, potenziare il sistema di collocamento europeo Eures, rafforzare il coordinamento tra le agenzie per l’impiego nazionali. Sia chiaro: vogliamo una mobilità con gli aggettivi giusti, una mobilità circolare, non una fuga di risorse e competenze, che impoverisce il capitale umano degli Stati più colpiti dalla crisi, a vantaggio di altri; una mobilità garantita da un quadro di standard di qualità e da diritti riconosciuti, come chiedono i consigli nazionali riuniti nel forum europeo dei giovani che abbiamo incontrato.

Anche per questo è importante che si avvii l’alleanza europea per l’apprendistato e che si trovi l’accordo su un quadro di qualità per i tirocini. In questa materia, le parti sociali possono apportare un contributo determinante ed è quindi un’ottima notizia – come ieri ho comunicato ai sindacati che ho incontrato – che dopo molto tempo le parti sociali si riuniscano a Bruxelles di nuovo, prima del Consiglio europeo, per fornire il proprio apporto sui temi del lavoro e della crescita e che il Presidente del Consiglio europeo faccia partecipare alla prima fase della riunione del Consiglio stesso i rappresentanti delle parti sociali, che lì interverranno e porteranno ai Presidenti e ai Capi di Stato e di Governo la posizione delle parti sociali su questi temi.

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Questo è quanto andremo a chiedere al Consiglio, in linea quindi con la mozione approvata da questa Assemblea qualche giorno fa. Su tutto questo, però – devo dirlo –, grava l’incertezza sulla conclusione del negoziato tra il Consiglio e il Parlamento europeo sul nuovo quadro finanziario multiannuale. Mi auguro che questa incertezza sia presto rimossa e ci adopereremo a Bruxelles perché l’Europa possa rapidamente chiudere il bilancio 2014-2020 e far partire nuovi programmi di investimento per la crescita.

D’altra parte, con franchezza, dobbiamo ribadire che, se l’Europa non riprende un cammino sicuro di crescita, nessuna delle decisioni puntuali che potremmo assumere condurrà a una vera svolta. Su questo entra in gioco il secondo punto in agenda al Consiglio: la verifica dei progressi compiuti nell’attuazione del Patto per la crescita e per l’occupazione, adottato su spinta anche e soprattutto italiana nel giugno 2012.

A un anno esatto di distanza, il bilancio ha purtroppo luci e ombre. Nel campo del mercato unico sono stati compiuti progressi importanti, ma un buon numero di misure è ancora bloccato, benché il termine fissato a dicembre 2012 sia scaduto da mesi. In altri settori, dall’energia all’area europea della ricerca, molto resta ancora da fare.

L’aspetto centrale del Patto è, tuttavia, l’accento posto sull’uso della BEI come leva per fare ripartire gli investimenti produttivi. A tal fine, era stato deciso l’aumento di capitale della stessa BEI, che è stato completato nei primi mesi del 2013. I primi effetti sui prestiti diventano solo ora visibili. A regime, l’aumento di capitale permetterà di portare i prestiti della BEI negli anni 2013-2015 a 60 miliardi, mobilitando oltre 120 miliardi di investimenti in tutta Europa.

Dal nostro punto di vista la discussione sulla politica di investimento della BEI costituirà, dunque, uno degli snodi del Consiglio. Essa può avere un ruolo chiave nel catalizzare risorse per investimenti di lungo termine, soprattutto è il potenziale perno di un’azione volta a riattivare il credito per l’economia reale, per le piccole e medie imprese e a contrastare la frammentazione dei mercati finanziari.

Del resto, oggi, in Europa, le condizioni del credito alle imprese divergono sensibilmente da Stato a Stato, perché riflettono non solo il merito di credito delle singole imprese, ma la loro posizione geografica. È una situazione che penalizza le imprese italiane e quelle di altri Stati membri.

Ci batteremo, dunque, per un ruolo più incisivo della Banca europea per gli investimenti a sostegno dell’economia reale. La incoraggeremo a dirigere i prestiti verso le regioni che più hanno bisogno di liquidità per investimenti e ad assumere un profilo di rischio più aggressivo anche contando sull’interazione positiva con i fondi strutturali dell’Unione europea.

Guardiamo, inoltre, con interesse a possibili iniziative, d’intesa con la Commissione e con la BCE, per promuovere forme di emissione e di titoli garantiti da prestiti alle imprese, il cosiddetto mercato delle asset-backed securities.

Più in generale, i progressi sul fronte della crescita sono legati alla capacità di tenere la rotta delle riforme strutturali. Il Consiglio europeo affronterà, infatti, come terzo punto l’esame delle raccomandazioni della Commissione ai Paesi membri, portando a conclusione il semestre europeo 2013. Non è un passaggio solo procedurale: il semestre europeo è positivo perché aiuta a coordinare le agende nazionali per le riforme. Dobbiamo contribuire a consolidare questo esercizio. Lo prendiamo, del resto, molto sul serio e, come più volte ho ribadito, interpretiamo le sei raccomandazioni che la Commissione ci ha rivolto – in parallelo con la positiva abrogazione della procedura di deficit eccessivo, che sarà il primo punto, giovedì, della discussione in Consiglio europeo – come la base della nostra azione di Governo.

A ben vedere, abbiamo già iniziato ad applicare quelle sei raccomandazioni con i provvedimenti adottati nelle ultime settimane. Penso alle norme sulla giustizia civile, penso al pacchetto di misure per le infrastrutture, penso alle semplificazioni, agli interventi sul credito contenuti nel «decreto fare» e che incrociano puntualmente le raccomandazioni della Commissione. Allo stesso modo, il disegno di legge sulle semplificazioni e il decreto-legge sull’occupazione giovanile, che approveremo domani, rispondono ad altre sollecitazioni che vengono dall’Unione europea.

Dobbiamo poi procedere con maggiore attenzione e sistematicità all’attuazione delle direttive europee dopo avere concorso alla loro adozione, come ricorda la risoluzione parlamentare. Per questo è importante che le Camere possano chiudere rapidamente l’iter di adozione della legge europea 2013, che contiene norme necessarie per il recepimento delle direttive dal 2011 al 2013, evitando così un gran numero di procedure di infrazione, che graverebbero, altrimenti, sul nostro Paese.

Ci viene spesso ricordato che adempiere agli obblighi dell’Unione europea è una questione di credibilità e di capacità di mantenere gli impegni assunti. È vero, siamo d’accordo, ma aggiungo che il medesimo metro di giudizio deve applicarsi anche alle decisioni che, tutti insieme, gli Stati membri hanno adottato in sede istituzionale.

Pensiamo all’unione bancaria e, più in generale, alla riforma della governance dell’unione economica e monetaria, il quarto punto che sarà affrontato al Consiglio. Il cammino, soprattutto dell’unione bancaria, è accidentato, è ancora in salita; se ne stanno finalizzando, con fatica, i primi tasselli: il meccanismo unico di supervisione bancaria, ad esempio, è stato approvato ed entrerà in vigore entro la fine dell’estate. Il Consiglio Ecofin ha trovato un accordo sulle linee guida per la ricapitalizzazione diretta delle banche da parte dell’European Stability Mechanism (ESM). Più complicata è, invece, la ricerca di un punto di equilibrio sulla direttiva in materia di risoluzione ordinata delle crisi bancarie e, a cascata, sulla direttiva relativa alla garanzia dei depositi bancari, su cui si cercherà un accordo all’Ecofin straordinario di domani pomeriggio.

L’Italia gioca su questi tavoli un ruolo di impulso e di mediazione; agiamo sempre per spingere più in là le linee rosse di chi dà l’impressione di non voler veramente progredire, anche per conciliare posizioni diverse e interessi che sono difficili da comporre.

Un dato è, comunque, certo: a Bruxelles, a nome del Governo italiano, mi batterò perché non si rimetta in alcun modo in discussione il calendario deciso dal Consiglio europeo di dicembre per completare l’unione bancaria e farò di tutto affinché vi sia al più presto una proposta della Commissione per un meccanismo comune di risoluzione delle crisi bancarie, di tutela dei risparmiatori e si arrivi alla sua adozione entro l’attuale mandato del Parlamento europeo.

Tutto ciò farà da base per la grande battaglia politica per l’Europa che inizieremo dall’autunno, in preparazione dell’occasione unica che all’Italia si presenta nel 2014: il semestre di Presidenza italiana nella seconda metà del 2014 potrà rappresentare, come indica la risoluzione che ho letto, l’opportunità per porre le questioni istituzionali e la dimensione politica al centro dell’azione della Comunità e degli Stati membri. L’occasione è unica per dare il via, proprio dall’Italia, alla costruzione degli Stati uniti d’Europa, idealità alta, ineludibile per le attuali generazioni, sola bussola e solo orizzonte della politica europea del nostro Paese.

A proposito di dimensione politica, infine, il Consiglio europeo assumerà decisioni importanti in materia di allargamento. Saluteremo l’ingresso della Croazia come ventottesimo Stato membro il 1° luglio; confermeremo l’adesione della Lettonia nell’Unione economica e monetaria, nell’euro, dal 1° gennaio 2014, come diciottesimo Paese che adotta l’euro; ci pronunceremo sulla proposta della Commissione di aprire i negoziati per l’adesione della Serbia, auspicando che sia fissata subito una data per l’avvio dei negoziati stessi. Croazia, Lettonia, Serbia; Zagabria, Riga, Belgrado: tre casi diversi di avvicinamento volontario, perfino sofferto, perché faticoso e scandito da sacrifici, all’Europa unita e a tutto ciò che essa storicamente rappresenta. Tre esperienze per ricordarci e, soprattutto, ricordare alle nostre opinioni pubbliche che l’Unione europea era e resta una storia di successo e di attrazione: un traguardo, quindi, e una prospettiva, un architrave di pace e di benessere per i popoli. La crisi e i tanti, troppi, errori che sono stati commessi nell’ultimo decennio tendono a farcelo dimenticare, ci inducono a focalizzare l’attenzione e i nostri umori su tutto ciò che non funziona: sull’austerità fine a se stessa, sulle estenuanti lentezze procedurali, sull’incapacità di decidere e di decidere per il meglio.

L’Europa non può essere questo: l’Europa – ricordiamocelo – è ancora fattore di attrazione e di stabilizzazione. Solo insieme, dentro l’Unione, possiamo raggiungere risultati che, altrimenti, da soli, non potremmo neanche progettare. Sul punto, permettetemi un aggancio alla recentissima esperienza vissuta al G8. Lì abbiamo verificato cosa può davvero fare l’Europa quando non è più sul banco degli imputati, ma voce unitaria al tavolo globale.

Lì si è assunta la storica decisione di avviare i negoziati per il libero scambio con gli Stati Uniti; è un accordo che può dischiudere prospettive economiche nuove, facendo crescere il PIL europeo dello 0,5 per cento l’anno e che ha un significato geopolitico rilevante. Oltretutto, tutti i calcoli dicono che l’Italia è il Paese europeo che ne avrà più vantaggi. Ci auguriamo che l’accordo possa essere chiuso proprio sotto la Presidenza italiana dell’anno prossimo.

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Signora Presidente, onorevoli colleghi,

ora sta a noi, rappresentanti del popolo italiano, qui, e delegati dai popoli europei, giovedì e venerdì a Bruxelles: possiamo e dobbiamo decidere per costruire qualcosa di più forte e solido e non soltanto per tamponare emergenze. Cercheremo di cogliere questa opportunità, rifuggendo da ogni soluzione al ribasso. Il nostro impegno, il mio impegno, è quello di trasferire ai partner europei una sola urgenza: dare finalmente risposte vere, concrete, subito verificabili, ai problemi dell’Europa dei popoli e il primo problema, oggi, è il lavoro che non c’è per milioni di ragazze e ragazzi. A loro, abbiamo l’obbligo di indicare una rotta e di restituire, finalmente, una speranza.