Donne e lavoro

Donne e lavoro

Spesso sottovalutiamo quanto per le donne sia difficile gestire tutto: le aspettative, gli impegni, la famiglia, la dimensione pubblica e quella privata. Una fatica, il più delle volte sottotraccia, che chi ha la responsabilità di fornire risposte politiche non può permettersi di sottovalutare. Una fatica che, purtroppo, è parte di un sistema nel quale i costi dei servizi sono troppo elevati. Una fatica, infine, tanto più insostenibile in alcune aree del Paese dove la qualità del lavoro, il livello medio dei salari e la quantità di soddisfazioni professionali sono talmente irrisori da indurre molte donne a ritenere che, in definitiva, non valga la pena investire tutte se stesse in questo gioco a somma negativa. Da indurle, insomma, a gettare la spugna, a non lavorare.
Queste poche considerazioni – unitamente a quelle documentate e autorevoli che abbiamo qui ascoltato – servono a descrivere un quadro da allarme rosso. Oggi l’occupazione femminile in Italia – specie in alcune regioni del Mezzogiorno – rappresenta un’emergenza. Perciò dobbiamo tutti promuovere una vera e propria mobilitazione intorno a questo tema. Una mobilitazione non fine a se stessa, ma volta a costruire una solida alternativa in una prospettiva a lungo termine. Dobbiamo, cioè, fare in modo che questo tema sia in cima all’agenda dell’esecutivo quando, nel 2013, torneremo alla guida del Paese. Il governo Veltroni come primo atto dovrà approvare questo progetto di legge e finanziarlo completamente. Dobbiamo rendere le nostre proposte in qualche modo obbligatorie e consequenziali rispetto a un percorso avviato, consolidato negli anni e reso più solido e credibile attraverso il confronto con tutte le parti sociali, l’associazionismo, gli enti locali, le autonomie funzionali.

Quello che abbiamo di fronte è, dunque, un lavoro ambizioso e di lunga lena. L’impegno di Vittoria Franco si muove esattamente in questa direzione. Lo stesso discorso vale – anche se in una prospettiva necessariamente più a breve termine – per l’idea di presentare una proposta di legge di iniziativa popolare: occorrono mobilitazione e capacità di comunicare la portata dell’iniziativa. Dobbiamo trascorrere l’estate in giro per l’Italia, cercando di attirare l’attenzione su aspetti concreti della questione e di presentare le nostre idee per farne un modello per il progetto del Partito Democratico. Dobbiamo parlare del binomio ?donne e lavoro? ogni volta che, davanti a una telecamera, ci interrogano sui problemi del Paese. In campagna elettorale abbiamo provato a farlo. Mi riferisco, in particolare, al grande impegno profuso in tal senso da Alessia Mosca, le cui iniziative sull’occupazione femminile rappresentano l’embrione dell’appuntamento odierno.

C’è infatti tra queste proposte e le idee che oggi abbiamo ascoltato una linearità inequivocabile. Dobbiamo continuare con lo stesso rigore, per far sì che il nostro progetto – una volta messo a punto definitivamente – sia davvero inattaccabile. Non uno slogan, ma un modello da studiare e sul quale confrontarsi, sia sul piano della ricerca sia, soprattutto, su quello dell’elaborazione di risposte politiche. Penso, ad esempio, che parti o pillole di questo progetto possano essere discusse ed eventualmente applicate da soggetti istituzionali che hanno la potestà per farlo. Ricordo a tutti che oggi governiamo 15 regioni su 21 e le amministrazioni regionali dispongono delle risorse e, sia pure parzialmente, della competenza per intervenire su alcuni aspetti della materia.
Il ruolo di regioni ed enti locali è del resto fondamentale. Un’iniziativa del genere infatti non può essere affrontata come se si trattasse di un blocco unico. Piuttosto, deve essere considerata come un mosaico fatto di tanti tasselli: alcuni di natura eminentemente culturale, altri legati all’erogazione dei servizi, altri ancora relativi al fisco.

Quest’ultimo tratto è cruciale: gli incentivi fiscali sono le leve più immediate ed efficaci per attuare le grandi riforme economiche di cui questo Paese ha bisogno. Hanno effetti tangibili e subitanei, sono quelli meno soggetti a ingessature di tipo burocratico o a meccanismi applicativi bizantini o complessi. Non a caso abbiamo fatto degli incentivi di tipo fiscale uno dei pilastri della nostra proposta sull’occupazione femminile.
Naturalmente a tutto questo deve accompagnarsi un grande investimento in termini di risorse. Ciascuno di noi sa – specie chi ha esperienze di tipo istituzionale – che le vere priorità dell’agenda politica si definiscono quando si decide l’allocazione delle risorse. Quindi, anzitutto, in sede di legge finanziaria. Poi, certo, ci sono le norme di sistema – quelle a cui sempre più frequentemente si appella il ministro Sacconi specie da quando Tremonti ha sostanzialmente azzerato il capitolo welfare dalle voci di bilancio – che servono ma che, senza risorse, rischiano di rimanere lettera morta.
Insisto molto sull’aspetto finanziario in primo luogo perché sono realista. In secondo perché condivido per filo e per segno l’approccio pragmatico che Vittoria Franco sta conferendo all’iniziativa. Approccio pragmatico fatto di due elementi assolutamente complementari: da un lato, il fattore etico, di equità e diritti, pari opportunità in senso letterale; dall’altro, l’aspetto – che magari qualche commentatore puritano può giudicare brutale – di mera convenienza economica. La convenienza per l’imprenditore, per l’imprenditrice, per le lavoratrici. La convenienza per l’intera economia italiana. Perché – ribadiamolo ogniqualvolta ne abbiamo l’occasione – l’occupazione femminile è un fattore di sviluppo e come tale merita, nelle scelte di policy, una corsia preferenziale. Lo è in generale e lo è a maggior ragione per un Paese come il nostro che sconta criticità molteplici. Il fattore D – come lo ha definito brillantemente Ferrera nel cui volume ci sono molte delle riflessioni che vengono condotte in materia e che oggi abbiamo ascoltato – è uno di questi fattori. Insieme all’enorme debito pubblico accumulato in anni di dissennata politica finanziaria. Insieme alla mancata convergenza economica e sociale delle due macroaree del Paese che corrono da sempre a velocità diverse, con danni oramai cronici sull’andamento complessivo dell’economia nazionale.
A questo proposito, ritengo che dovremmo alzare i toni. O meglio, parlare in modo chiaro e duro. Ad esempio, affermando a chiare lettere che il tema dell’occupazione femminile in alcune regioni del Mezzogiorno rappresenta una questione da allarme rosso. Anche su questo punto, infatti, la Campania, la Calabria e la Sicilia stanno semplicemente uscendo dall’Europa. Il tasso di partecipazione al lavoro è in media sotto il 25%: è un dato ingestibile. Soprattutto alla luce del fatto che esso può essere drogato da un ulteriore elemento critico, vale a dire dal ricorso al lavoro nero. E possiamo ben immaginare cosa debba significare per una donna del Sud lavorare nel sommerso. I problemi di conciliazione si moltiplicano, il reddito certamente non è sufficiente, le soddisfazioni in genere mancano. Si tratta con tutta evidenza di una situazione che non possiamo più tollerare. Su troppi versanti Campania, Calabria e Sicilia sono indietro. Oggi in qualche modo rischiamo di rimanere fuori dall’Europa se valutiamo il fatto che queste tre regioni sono puntualmente in ritardo – e non solo in termini di partecipazione femminile al lavoro – rispetto ai nuovi Paesi membri, a Malta, alle aree più povere della Grecia. Dobbiamo trovare il coraggio di affermarlo in modo anche brutale. Dobbiamo lanciare l’allarme. Dobbiamo portare le nostre controproposte all’attenzione dell’opinione pubblica.

Infine, l’ultimo tassello della questione, quello attinente alla nostra proposta politica generale e direi anche alla nostra identità più profonda: l’approccio culturale. A questo Paese serve una grande battaglia di civiltà e civismo. Serve, a monte, un atteggiamento realmente paritario. Vale per il lavoro, vale per la considerazione della condizione femminile, vale per il rapporto tra uomo e donna. Io sono, ad esempio, tra quelli che non esclude a priori l’obbligatorietà del congedo parentale maschile e che crede che anche su questa proposta debba innescarsi una grande riflessione pubblica.
Più in generale, a sembrare in discussione oggi è, come dicevo, la concezione stesse delle pari opportunità. Sul punto – e davvero mi spiace essere così brutale – l’atteggiamento della maggioranza di governo e in particolare del presidente del Consiglio non mi sembra in alcun modo qualificante per la donna. È proprio un problema di cultura che pesa come un macigno e inficia a monte qualsiasi riflessione su ogni declinazione del tema, come appunto la partecipazione delle donne al lavoro.

Ultimo riferimento: il merito. I dati, da questo punto di vista, parlano chiaro. Anche Vittoria prima accennava alle migliori performance scolastiche delle ragazze. Le donne si rivelano puntualmente più brave dei coetanei maschi. Eppure, a un certo punto del percorso formativo, la dinamica si inverte. Gli uomini più spesso fanno carriera e quasi sempre guadagnano di più. La questione di genere è, dunque, anzitutto una questione di meritocrazia. Incentivare il merito – dai banchi di scuola fino all’inquadramento professionale – significa, oggi più che mai, promuovere la donna e il lavoro femminile.
Concludo rinnovando un auspicio: facciamo in modo che iniziative del genere diventino il pilastro dell’azione politica del Partito Democratico. Esponiamo le nostre proposte, andiamo sui territori per discuterne, ascoltiamo il parere e gli orientamenti di chi ha voglia di contribuire a questa come ad altre battaglie. Dimostriamo – con le nostre idee, le nostre analisi, i nostri contenuti – di essere migliori di chi attualmente ci governa, di essere in grado di guidare il Paese nell’interesse generale.

Estratto dell’intervento Merito e metodo per una priorità del Paese, pronunciato in occasione della Conferenza Donne e Lavoro: idee e proposte per sostenere l’occupazione femminile, tenutosi a Roma nel luglio 2008.

Sono solo alcune delle misure  contenute in una proposta di legge del PD dedicata all’occupazione femminile  e presentata a fine maggio a Roma in occasione della riunione del governo ombra.

«Il pacchetto del PD – ha detto Enrico – rappresenta una risposta al provvedimento maschilista del governo sugli straordinari. Raccogliamo sul tema la sfida importante lanciata da Emma Marcegaglia. È una questione fondamentale per un Paese come il nostro fanalino di coda in Europa quanto a valorizzazione delle donne e delle loro enormi potenzialità. Porteremo questa sfida in Parlamento trasformando tutti gli articoli presentati oggi in altrettanti emendamenti ai provvedimenti molto maschilisti del governo sui salari e gli straordinari».

–>

Allegati