Lavoriamo per gli Stati Uniti d’Europa

Lavoriamo per gli Stati Uniti d’Europa

European union Testo tratto dalle dichiarazioni programmatiche presentate da Enrico Letta alla Camera in occasione del voto di fiducia.

Rappresentare l’intera nazione oggi significa prima di tutto sapere e ribadire che le sorti dell’Italia sono intimamente correlate a quelle dell’Unione europea. Due destini che si uniscono.

Nel 2012 tutti noi abbiamo vinto il premio Nobel anche se forse non ce ne siamo pienamente accorti. L’Unione Europea è stata premiata per un’alchimia politica senza precedenti: la trasformazione delle macerie di un continente di guerra in uno spazio di pace. Allora i nemici decisero di vivere insieme. Dopo insieme abbiamo promosso la democrazia e riunificato il continente dalle ferite della cortina di ferro. Insieme abbiamo dato vita al mercato unico. Insieme abbiamo concepito la cooperazione allo sviluppo, di cui siamo leader al mondo. Insieme ai ragazzi partiti nel 1987 per il primo Erasmus, abbiamo scoperto di avere nuove case e nuove famiglie. E insieme, nella crisi, dobbiamo ripartire da alcune verità, perché della verità non bisogna mai avere paura.

Primo: il Nobel non è alla memoria. L’Europa non è il passato, è il viaggio nel quale ci siamo imbarcati per arrivare nel futuro. L’Europa è lo spazio politico con cui rilanciare la speranza che ha animato la nostra società nella ricostruzione del dopoguerra. È lo spazio politico con cui mettere fine a questa guerra di stereotipi, di sfiducia e di timidezza, mentre la tragedia della disoccupazione giovanile mette un’intera generazione in trincea. L’Europa esiste solo al presente e al futuro, solo se alla storia scritta dai nonni e dai padri si affiancano le azioni dei figli e dei nipoti.

Secondo: l’Europa è il nostro viaggio. La sua storia non è scritta malgrado noi. È scritta da noi. L’orizzonte è europeo, con le università che devono diplomare laureati in grado di lavorare ovunque in Europa, e le imprese che devono inventare prodotti che siano competitivi a livello continentale se non globale. Pensare l’Italia senza l’Europa è la vera limitazione della nostra sovranità, perché porta alla svalutazione più pericolosa, quella di noi stessi. Vivere in questo secolo vuol dire non separare le domande italiane e le risposte europee, nella lotta alla disoccupazione e alla disuguaglianza, nella difesa e nella promozione di tutti i diritti. E soprattutto, l’abbattimento dei muri tra il Nord e il Sud del continente, così come tra il Nord e il Sud dell’Italia.

Terzo: il porto a cui il nostro viaggio è rivolto sono gli Stati Uniti d’Europa e la nostra nave si chiama democrazia. Guardiamo con ammirazione lo sviluppo delle altre nazioni, in particolare in Asia e in Africa, ma non vogliamo sognare i sogni degli altri. Abbiamo il diritto a un sogno che si chiama Unione Politica e abbiamo il dovere di renderlo più chiaro. Possiamo avere «più Europa» soltanto con «più democrazia»: con partiti europei, con l’elezione diretta del Presidente della Commissione, con un bilancio coraggioso e concreto come devono essere i sogni che vogliono diventare realtà.

L’Italia vive in un mondo sempre più grande, caratterizzato dall’arrivo sulla scena di nuove potenze emergenti che stanno modificando gli equilibri mondiali. Di fronte a giganti come Cina, India e Brasile, i singoli Stati europei non possono che sviluppare una politica comune per raggiungere la massa critica necessaria ad interagire con questi nuovi attori e influire sui processi globali.

Questo significa un rinnovato impegno per una politica estera e di difesa comuni, tese a rinnovare l’impegno per il consolidamento dell’ordine internazionale, un impegno che vede le nostre Forze Armate in prima linea, con una professionalità e un’abnegazione seconda a nessuno. Lavoreremo per trovare una soluzione equa e rapida alla dolorosa vicenda dei due Fucilieri di Marina trattenuti in India, che ne consenta il legittimo rientro in Italia nel più breve tempo possibile.

L’Italia è saldamente collocata nel campo occidentale, ma la sua posizione geopolitica proiettata verso altre civiltà, la sua cultura abituata al dialogo e la sua economia vocata all’esportazione possono consegnarle un ruolo di ponte tra l’Occidente e le nuove potenze emergenti.

Questo è importante soprattutto nel Mediterraneo, dove il consolidamento delle primavere arabe, la risoluzione politica della crisi in Siria e la prosecuzione del processo di pace in Medio Oriente sono le questioni più urgenti.